Due parole sul Genere

Parliamo di genereTra gli appassionati di storie, che siano letterarie, che siano cinematografiche, che siano seriali, ormai è diventato base di una diatriba senza via di uscita, un’idea che ha dato vita a veri e propri schieramenti e tifoserie: il genere.

Il punto nevralgico di tutta la questione, che sembra ampia e sfaccettata mentre in realtà è molto semplice e ben delineata è uno soltanto: si tratta di una forma di snobismo della “cultura alta” che vede nel concetto di genere un idea qualificativa, anzi meglio, squalificativa.
Potreste citarci subito uno smisurato elenco di casi in controtendenza a questa affermazione e noi possiamo tranquillamente dirvi: non è vero.
Nella maggior parte dei casi la scelta di elevare alcuni autori e alcune opere “di genere” viene spesso utilizzato per sottolineare come la qualità in quel guazzabuglio sia solo un caso o l’opera di un genio, ergo qualcosa di straordinario e quindi raro.
In quel caso non è il genere ma una situazione eccezionale.

[box title=”Il famoso concetto de L’eccezione che conferma la regola” color=”#333333″]Maus #1 -  Image curtesy of Pantheon Books. All Rights Reserved. Facciamo un esempio pratico: la fantomatica Graphic Novel. Nel corso degli ultimi anni, vuoi per la produzione di opere giornalistiche che hanno vinto addirittura il Pulitzer come Maus, o per l’estro di qualche giornalista illuminato, i fumetti hanno iniziato un poco a sdoganarsi anche davanti alla cultura, che da sempre associa il concetto di qualsiasi cosa preveda disegni come opera di basso livello o al massimo per bambini. Non ci addentreremo troppo nella questione in questa sede, ma ci tenevamo a segnalare la strana anomalia che vede l’utilizzo di Graphic Novel come sinonimo di “non-fumetto”. L’utilizzo è quello di giustificarsi: non mi piacciono mica i fumetti, ci mancherebbe! A me piacciono le Graphic Novel![/box]

In quest’ottica facciamo immediatamente una premessa. Ad esclusione del box qui sopra, in questo articolo non verrà fatto nessun tipo di esempio. Proprio per scoraggiare da parte di chiunque l’intenzione di ridurre, delimitare o rendere la questione l’erronea idea di un insieme di “casi unici”.

Dato che l’idea di genere oltre ad essere delimitante è anche fastidiosa, è venuto il momento di mettere qualche punto fermo.

Partiamo dai fondamenti più semplici. Il concetto di “genere” non esiste.
Il genere è un’etichetta, niente di più e niente di meno. Il concetto stesso di genere è qualcosa che ha il solo scopo di facilitare il compito di pubblicitari, venditori e di chi deve scrivere slogan, fascette, terze di copertina.
Il concetto di genere è qualcosa di impreciso, sommario e pressappochista. Quanti sono i prodotti di cui è impossibile identificare un genere preciso, perché all’interno ne contengono più d’uno? Si finisce per farne una media che lascia pesantemente insoddisfatti.
Come può un etichetta diventare una qualifica di qualità o meno?
Sarebbe come decretare la qualità o meno del contenuto di un libro basandosi ad una semplice occhiata della copertina.

Per quanto ci riguarda, preferiamo fare due uniche possibili distinzioni: buono/cattivo o mi piace/non mi piace.
Altro punto fondamentale in merito: i gusti personali sono insindacabili. Questo però non significa anche che i gusti debbano essere scambiati per valutazione assoluta e oggettiva. A volte le cose coincidono, a volte no.

Monogamia narratologica. Perché?
Mangiare tutti i giorni aragosta a pranzo, colazione e cena o allo stesso modo mangiare sempre e solo pizza 7 giorni su 7 per tutti i pasti della giornata, magari scegliendo sempre la stessa, non ci sembra esattamente consigliabile.
Eppure sembra che la fedeltà estrema ad una sola tipologia narrativa, ad un solo modo di farsi raccontare una storia o ad un solo tipo di storia sia considerato un valore positivo.
Il primo risultato più eclatante significa non testare, non assaggiare, non conoscere. Che, molto più semplicemente, significa non scoprire. E quindi perdere occasioni.

Infatti capita molto spesso che nella faida che vede contrapporsi le due parti, chiamiamole “il genere” e “l’alta cultura” ma solo per comodità espositiva, gli attacchi vengano fatti conoscendo a malapena l’avversario, se non per sentito dire, per idee formatesi sull’argomento per luoghi comuni o magari per l’incontro solo con un prodotto (e la cosa vale in entrambi i sensi).
Questo non toglie che ognuno può fare le sue scelte: sono così tante le cose da leggere e vedere che è sacrosanto che ognuno si stabilisca le proprie linee guida. Certo basarle su scelte consapevoli piuttosto che su preconcetti potrebbe aiutarvi ad ottenere risultati migliori e decisamente più goduriosi

Esiste poi ancora una cosa che noi definiamo la “moda della contromoda“: quell’idea per cui se qualcosa (sia libro, film, etc) ha avuto tanto successo questo automaticamente lo qualifica come un prodotto di bassa lega, di bassi istinti, insomma, pessimo. Ancora una volta, per quanto ci riguarda: a volte le cose coincidono, a volte no.

Ulisse e le sirene - mosaicoCi piace portare come prossimo punto un elemento fondamentale: la storia del raccontare è una storia di genere.
I racconti intorno al fuoco, i miti, i classici. Racconti di magie, divinità, eroi.
Storie di paura e di misteri.
Da sempre l’uso del racconto e della fantasia per cercare delle risposte a qualsiasi dubbio. Dalle domande sul senso della vita al perché determinate cose si comportano in modo che ci appare strano.
O ancora per immaginare le possibilità di una versione migliore di noi stessi. Dalle prime epopee scritte dall’uomo, all’ultimo dei fumetti, la storia del raccontare è la storia di uomini dotati di capacità straordinarie, capacità che li rendono superiori agli altri uomini, che sia per doti fisiche, poteri ultraterreni o capacità intellettive e deduttive strabilianti.

Tutte le storie sono frutto della fantasia umana, ed ecco che arriva un altro punto fondamentale: da quando è stata decisa una classifica qualitativa della fantasia?
Da quando è stato deciso che immaginare una cosa piuttosto che un’altra implica una differente qualità tra le due? Perché una realtà inventata “realistica” è superiore ad una realtà semplicemente inventata?

Un ultimo paio di considerazioni.
Le figure retoriche, la metafora in prima istanza, sono gli attrezzi più amati dal narratore. Che cos’è il genere se non metafora per sua natura intrinseca?
Pensate che cosa significa uno strumento di tale portata per un buon narratore…

Avete presente come funzionano gli esperimenti scientifici?
Si prende il fenomeno che si vuole studiare e lo si isola. Ovvero lo si mette in una situazione irreale dove non intervengano altri fenomeni che normalmente esistono ma che ovviamente alterano lo studio: è necessaria una condizione in cui ci si avvicini il più possibile ad avere una reazione che sia solo alle mie prove ed ai miei stimoli.

Che cosa fa il genere a volte se non isolare la natura umana in una situazione che possa permettere di analizzarne specifiche qualità (qualità inteso come termine scientifico)?

Per chiudere questo deliberato sfogo, sottolineiamo che la nostra volontà non è quella di difendere il genere: non ne ha bisogno.
La nostra volontà è quella di combattere un’etichetta che, al di fuori dello scopo prettamente commercial/pubblicitario, altro non fa che caricarsi di luoghi comuni e impressioni a priori.
Come accade con il razzismo, per esempio.


Commenti

3 risposte a “Due parole sul Genere”

  1. Posso dire una cosa?? Che articolo spisso… mamma mia… avete tirato fuori il meglio di voi… e avete distrutto alcune delle mi e convinzioni più ferree…

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    1. Missione compiuta, direi!

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  2. mi è piaciuto paolo,molto interessante…in effetti è proprio come tu dici,ciao;-)

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