Lie To Me

Lie To MeLie To Me è uno di quei casi televisivi che lascia diverse perplessità.
Un plot interessante, un’ottima fattura e un ottimo cast guidato da un un attore di quelli che fanno la differenza, sia per bravura che per notorietà, non sono bastati ad evitare un’interruzione anzitempo.
3 stagioni, 13 episodi la prima, 22 la seconda e di nuovo 13 la terza e ultima, palesemente monca.

Tim Roth dà vita al personaggio di Cal Lightman, esperto di microespressioni facciali tramite le quali è in grado di definire quando una persona sta mentendo. Creando il Lightman Group ha deciso di utilizzare la sua esperienza offrendosi come consulente per i casi più disparati, dando vita ad una serie fondamentalmente giallo/investigativa dall’approccio piuttosto originale. Parlando di consulenze, il dottor Paul Ekman, lo psicologo studioso del comportamento umano ed esperto di rilievo sul linguaggio del corpo e sulle espressioni facciali a cui si ispira la serie, ha fatto da consulente scientifico sul set.
Ad affiancare Roth un cast di supporto ben costruito.

Il cast di Lie To MeAffascinante e decisamente ben gestita, l’idea permette agli autori di creare gialli intricati ed intriganti e situazioni accattivanti. Il personaggio di Cal Lightman poi rientra in una categoria diventata ormai iconica, quella del prodigio sociopatico, volgarmente definibile come genio stronzo.
Serialmente la categoria ha visto nel Dr. House il massimo rilancio, ma in realtà la categoria ha illustri predecessori. Diffusissima nell’ambito investigativo (non sono in fondo gialli dove l’uomo del mistero è la causa della malattia gli episodi di House?) che a partire dall’illustre Sherlock Holmes ci ha regalato tonnellate di adorabili odiosi, si rifà in fondo ad una condizione reale, con le storie di tantissimi veri geni piene di aneddoti e idiosincrasie.

Che cos’è allora che ha fallito? Come mai questa serie, che sembrava essere decollata si è trovata improvvisamente davanti un binario morto?

Quello che abbiamo riscontrato e che ci sembra un motivo plausibile è una pessima gestione della trama orizzontale. ci sembra ormai chiaro che una serie dedicata ai soli episodi stand alone, com’era lo standard tra gli anni ’80 e ’90, non riesce più a mantenere un appeal duraturo. La trama orizzontale, quelle storie che attraversano la serie una puntata dopo l’altra, sono ormai un must che il pubblico si aspetta e che diventano fondamentali alla fidelizzazione.

Cal-Emily-Lightman-lie-to-meIn questo, Lie To Me pecca decisamente. C’è la suggestione di qualche U.R.S.T., ma in modalità assolutamente discontinua: viene dimenticato per intere puntate sia quello principale, che risulta debole e presto poco stimolante, che quello degli altri personaggi del cast. Ci si ritrova spesso, da una puntata all’altra, davanti ad una sorta di reset dove magari una situazione di un episodio precedente, magari un colpo di scena non da poco, non ha nessun tipo di conseguenza o addirittura sembra non essere mai successo.  A tratti decisamente frustrante.
Lo stesso accade per altre sottotrame, come quella che indaga sul passato del protagonista. L’unica con una certa costante è quella che mette in scena il rapporto tra Lightman e la figlia: una linea narrativa molto interessante ma purtroppo insufficiente, assumendo contorni di primo piano solo occasionalmente, reiterando troppo alcune situazioni (dopo che si ripete qualche volta, la minaccia diretta alla figlia perde un po’ di forza) e rimanendo troppo spesso solo l’elemento “leggero” per molti episodi.

La sensazione finale è quella di una buona occasione sprecata: la serie avrebbe meritato decisamente di più. C’è da chiedersi se l’idea così particolare e trasversale non abbia trattenuto gli autori. Forse, terrorizzati dall’idea che la serie potesse essere interrotta in qualunque momento, si sono sentiti in dovere di trattenere sottotrame che rischiavano di rimanere tronche? Se mai così fosse, sarebbe la versione seriale di un autogol.

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