
Buona parte della comicità italiana degli ultimi 15 anni ci ha costruito intere carriere, a volte riducendolo ai minimi termini di una singola parola o espressione sufficiente a scatenare l’ilarità. Sul dizionario risulta essere, oltre alla reiterazione di una battuta comica, la definizione di qualcosa o di qualcuno che risulta essere opprimente. Le due possibilità spesso rischiano di coincidere.
Parliamo del tormentone, tecnica specifica dell’ambiente della commedia che è intrinsecamente seriale: è proprio il ripetersi e il ritornare il meccanismo che la rende divertente. L’affezione, l’abitudine e il riconoscimento sono gli elementi di un meccanismo che fa della familiarità il suo punto di forza.
Certo, creare un tormentone efficace non è così semplice. In alcuni casi avviene quasi per caso, e nella maggior parte dei casi il rischio di scivolare in saturazione è molto alto. Così come rischioso il ritrovarsi incastrati nel meccanismo per cui si costruiscono situazioni il cui unico scopo è portare fino al tormentone: fatto con capacità può suscitare convulsioni di ilarità, mal gestito finisce per togliere forza a tutto il resto e quindi stancare in fretta.
Il fatto comunque che se ne abusi e lo si ricerchi così tanto è indice di quanto questo giocattolo funzioni.
Molto usato dai comici, soprattutto quelli televisivi, se ne fa un ampissimo uso anche in tantissime sit-com. Il tormentone può vivere attraverso singole parole o frasi oppure essere una microsituazione vera e propria:
In definitiva possiamo distinguere tra tormentone come ripetizione di un singolo elemento e tormentone come ripetizione di uno schema.
Non solo a parole
In realtà il tormentone può esistere anche al di fuori della comicità. C’è il tormentone musicale, un brano che esplode e che per alcuni mesi ha una vita ossessiva e ossessionate, riempiendo palinsesti, locali pubblici, suonerie per cellulari, per poi improvvisamente morire e scomparire. Il meccanismo si è evoluto attraverso la rete, trasformandosi anche in altre due possibilità talmente forti da guadagnarsi un nome e una categoria tutta loro: i video virali e i meme. E quando anche quest’ultimi si incrociano…
Seppure estremamente sinificativo sul fronte comico, il tormentone emerge anche in altre vesti e in altre tipologie. Ne è un esempio eclatante il mondo dell’animazione giapponese. Pensate a cosa rappresenta l’appuntamento della trasformazione:
- i piloti che premono il magico pulsante che permetterà alle singole astronavi di unirsi in un gigantesco robot o il robot che si unisce, si fonde, etc etc…
- la bambina che agita la bacchetta che la trasformerà in un adolescente cantante o dotata di poteri magici;
- la studentessa che invoca il potere di stelle o divinità per cambiare colore ai propri vestiti (d’accordo, e avere anche i superpoteri);
- l’armatura che si scompone per rivestire il cavaliere o il samurai.
Ma anche l’animazione americana non è da meno. Vi ricordano nulla spade sollevate e richiami a grossi, scheletrici castelli?
Tutti esempi di tormentoni che seguono di puntata in puntata e che noi, assolutamente, agogniamo e desideriamo poter gustare e rigustare.
La golden age
Gli anni ’70 – ’80 sono stati decisamente gli anni dei tormentoni tv, ben oltre il solo ambiente delle sit-com. Da “Nano-nano” passando per i piani ben riusciti di Annibal Smith dell’A-team fino al corrucciato “Che cosa stai dicendo Willis!” non c’era serie tv (o telefilm, come si diceva allora) che non avesse il suo topoi, la sua frase tipo o la sua scenetta clou, insomma il suo tormentone che faceva scattare il sorriso compiaciuto sulla faccia dell’afficionados. La moda con il tempo si è ridotta (al di fuori delle sit-com) ma non è del tutto scomparsa: avete presente lo Yeaaahhh che apre la sigla di CSI Miami dopo che Horatio Cain ha fatto la sua battuta sul caso della settimana?
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