In occasione del 40ennale della prima messa in onda TV di Capitan Harlock in Italia, il suo creatore, Leiji Matsumoto, è al centro di una serie di iniziative che lo porteranno in un tour per la penisola grazie all’Associazione Culturale Leiji Matsumoto.
Torino è una tappa del tour di quattro giorni e noi di Sono Cose Serie abbiamo avuto il piacere di partecipare alla conferenza stampa e cerimonia di annullo filatelico che si è svolta Giovedì 14 novembre presso il Palazzo Civico di Torino.

Con un’aria mite ma al tempo stesso fiera, il sensei che realizza manga dagli anni ‘50, entra in sala e si sfila il berretto per indossare la sua cuffietta nera con il simbolo del teschio con le ossa incrociate, il simbolo dei pirati. Per lui rappresenta un simbolo di fede ai propri ideali e sogni perseguiti sino in fondo, ma, ci tiene a spiegare poi, il suo è rosso e non bianco perché lui è ancora vivo.
Fatto questo, posa per le foto dei giornalisti per poi accomodarsi al tavolo accanto all’Assessore Francesca Leon.
L’Europa, il Giappone ed i sogni
L’incontro comincia con il racconto degli altri incontri che si svolgeranno nel corso di queste 4 giornate torinesi che coinvolgeranno scuole, il Mufant, il Mao e il Museo del Cinema, con mostre, conferenze stampa, una rassegna cinematografica e il “rito” dell’annullo filatelico del francobollo commemorativo.
Prima di partire con le domande dei giornalisti, il maestro ha però voluto raccontare la stretta connessione e la fascinazione che sente per l’Europa e che ha riversato nelle sue opere. Si tratta di una connessione che per lui ha un’origine “genetica”, visto che la sua famiglia ha avuto diversi rapporti con il nostro paese. Il padre ad esempio, pilota di guerra, trascorse parecchio tempo proprio nel nostro continente.
Non è un caso se lo stesso Harlock o i personaggi femminili delle sue storie, come Maetel o Esmeralda, abbiano tratti somatici occidentali invece che orientali.
Ad un certo punto dell’incontro il sensei arriverà persino a scusarsi del fatto che, guardando la platea, si rende conto di aver usato il nostro abbigliamento e le nostre facce nei suoi fumetti e cartoni senza chiederci il permesso.
Trovarsi qui, in Italia, dice, circondato da architetture e arredi che si rifanno a quello che immaginava da piccolo di questo continente lo fanno sentire come “se fosse salito a bordo dell’Arcadia”.
E i sogni d’infanzia sono un elemento che ricorre spesso negli aneddoti che racconta sulle sue opere, come ad esempio quando ci racconta che quando era un bambino, appena quattro o cinque anni, andando e tornando da scuola si era inventato un suono con cui scandire la propria camminata, un suono senza significato: Harok, Harok.
Non è difficile comprendere cosa sia diventato un giorno quel verso senza significato…
Chiaro per tutti coloro che hanno usufruito delle sue opere, il messaggio che emerge da Leiji Matsumoto è quello ottimistico e ambientalista che ci ricorda come, nonostante tutte le nostre differenze estetiche, che in fondo rappresentano una ricchezza, noi si appartenga ad una sola razza e ad un solo pianeta. Il nostro scopo non può essere che quello di collaborare per difendere il nostro pianeta e di guardare alle stelle verso le quali espandersi.
Chiusa questa prima parte, e arrivato il momento in cui Matsumoto si è confrontato con le domande dei giornalisti, occasione che ha permesso di scoprire una serie di preziose curiosità sull’autore e sulle sue opere.
Le influenze che non ti aspetti

Ad esempio, sapete che conoscete il padre che lui ha citato diverse volte nel corso dell’incontro? Le sue fattezze infatti ritornano nel professor Daiba, uno dei membri dell’equipaggio di Harlock.
E dal susseguirsi delle sue risposte non è difficile comprendere il peso che ha avuto la sua famiglia nella sua vita, famiglia che discende dai samurai e che quindi gli ha insegnato i precetti del bushido. Non è un caso se al momento di scegliersi il nome d’arte abbia optato per Leiji, che significa “samurai che non ha fine”.
Altro elemento fondamentale nella sua vita e nella sua carriera artistica, lo avrete capito, sono sicuramente i sogni, ma soprattutto il loro perseguirli, elemento talmente fondamentale che ricorre in qualche mondo anche nel suo vero nome, Akira, il cui ideogramma significa qualcosa come “un uomo che diventa come il sole”.
Tra le tante influenze di cui gli viene chiesto conto, un’altra piuttosto evidente dai suoi lavori è quella per il western. La ragione fondamentale che spiega il maestro è la fascinazione per la figura di questi pistoleri che non rispondono a nessuno, vivendo (ancora) solo per i propri sogni e desideri, in una forma di libertà quasi assoluta. I western che ha amato di più sono proprio gli spaghetti western, che però in Giappone sono chiamati “macaroni western” e che ritiene per molti versi superiori a quelli americani.
La passione per questo genere cinematografico si manifesta anche con un’enorme collezione di vhs e dvd, cominciata iniziata ben prima che questi supporti nascessero e diventassero facilmente reperibili. Infatti, la mole e la particolarità di questa collezione aveva attirato l’attenzione della polizia su di lui e sui due amici con cui condivideva intensi cineforum casalinghi, Osamu Tezuka (che sarà poi considerato il “Dio dei manga” e figura fondamentale di manga e animazione giapponese) e Shotaro Ishinomori (altro artista fondamentale che darà vita a personaggi come Cyborg 009 e al capostipite dei tokusatu, i telefilm di eroi mascherati giapponesi, con Kamen Rider). La polizia teme che i tre gestiscano un mercato nero di pellicole illegali, ma quando i tre ragazzi spiegano le ragioni della loro passione gli agenti li rimettono in libertà, spingendoli a continuare a coltivare la loro passione per diventare autori di fumetti e cartoni animati.
E ancora a proposito di sogni e famiglia, scopriamo che Matsumoto avrebbe voluto studiare ingegneria spaziale, ma con la sconfitta dopo la seconda guerra mondiale, il padre si è trovato di fatto senza lavoro, costringendolo ad abbandonare quel desiderio. Il sogno però è stato un qualche modo ereditato dal fratello minore, che è appunto diventato ingegnere spaziale e progetta razzi. Un lavoro che ha fornito altro materiale di ispirazione alle opere del maestro e che ha contribuito persino a portare nel mondo reale alcune delle invenzioni che aveva immaginato nei suoi manga.
Tra i materiali che il sensei ha ricevuto dal fratello, pare ci siano alcune foto che mostrano le rovine di una civiltà antica su Venere, simili alle architetture che si trovano in sudamerica e che, come nelle sue opere, questa civiltà si sia in pratica autodistrutta…
La nostra domanda

Tra i vari interventi siamo riusciti a fare una domanda anche noi!
Quello che abbiamo chiesto riguarda il rapporto tra passato e futuro nelle opere di fantascienza di Matsumoto. La Arcadia di Harlock è in parte un galeone, il Galaxy Express 999 un treno a vapore che viaggia nello spazio e la Yamato una nave della seconda guerra mondiale trasformata in astronave. Una scelta stilistica o un’esigenza di qualche tipo?
Leiji Matsumoto ci ha risposto che tutti quegli elementi non fanno parte del passato in generale, ma rappresentavano il suo presente. Si tratta di cose che lui ha sperimentato e vissuto di persona. Tutti i meccanismi e le armi con un’estetica che richiama al passato hanno sono cose che veramente utilizzato nella sua vita. Non a caso possiede anche una collezione di armi antiche, la maggior parte delle quali hanno davvero sparato.
Dichiara di avere avuto una vita piena e la fortuna di vivere in un periodo in cui erano ancora possibili cose che oggi non lo sono più. Ad esempio si è trovato ad affrontare con alcune di quelle armi belve feroci in Africa e Sudamerica. Ha vissuto i bombardamenti della seconda guerra mondiale. Per via della sua passione per gli aerei ha imparato a pilotarli e, oltre a saper pilotare un biplano come quello di suo padre, ha avuto l’occasione di pilotare, per brevi tratti e grazie alla concessione dei piloti, persino un concorde e un boeing. “Ovviamente” ci dice “se oggi, nel volo che mi porterà a casa, dovessi chiedere al pilota di farmi pilotare, verrei probabilmente arrestato.”
Per entrare ancora più nello specifico, il maestro ci racconta che tramite suo padre, da ragazzo ha conosciuto un alto ufficiale della Yamato e che quindi ha avuto occasione per vedere le carte con i progetti della nave, decidendo poi una volta diventato autore di utilizzarli.
Per quanto riguarda il Galaxy Express 999 invece parliamo di un treno su cui ha viaggiato. E non un treno qualsiasi. Si tratta del treno per cui acquistò un biglietto di sola andata. Era appena un ragazzo, senza soldi in tasca oltre quelli per il biglietto e pieno di incognite che sapeva solo che avrebbe voluto fare il mangaka. Quel treno, che ha riprodotto esattamente nella sua opera, lo ha portato dal Kyushu, in cui era nato, fino a Tokyo.
L’ultimo sogno
Con la pacatezza che ha contrassegnato tutta la sua esposizione di ricordi, aneddoti e filosofia, Matsumoto ci racconta anche il suo ultimo sogno, quello che ancora non ha realizzato: andare su Marte.
E se pensate che si tratti di un sogno astratto, sappiate che con grande candore, il sensei ci spiega di aver già chiesto alla JAXA l’agenzia spaziale giapponese di permettergli di farlo. Gli ha infatti comunicato più volte non solo che è disposto a partire senza la certezza di tornare e non è spaventato dall’eventualità di morire nel tragitto, ma soprattutto che è pronto a partire in qualunque momento.
Che altro aspettarsi dal papà del pirata dello spazio che da 40 anni ci ha fatto sognare le stelle, la libertà e un mondo migliore?
UPDATE: il Sensei è ancora ricoverato all’ospedale Molinette di Torino per accertamenti, dopo il malore che l’ha colpito nella serata del 15 Novembre.
Forza, Maestro!