Reboot – Quando non basta soltanto rifare
Nel corso della storia della serialità (ma più in generale quella del raccontare) il remake è un meccanismo all’ordine del giorno. Il mondo si evolve in continuazione: la tecnologia avanza, le mode cambiano, i gusti e gli approcci si fanno differenti. Ma quando una storia è buona, è buona! Perché allora non farsi trovare pronti per le nuove generazioni, riproponendola con qualche aggiornamento? Ecco l’idea geniale, il livello successivo del remake: il reboot, alla lettera “riavvio”.
Tecnicamente, per semplificare, il concetto di base del reboot è quello di prendere un’idea, una storia e un personaggio e ricominciarla da capo, come se fosse stata inventata oggi. Siamo troppo avanti nel tempo perché il nostro protagonista possa essere un veterano del Vietnam? Facilissimo: spostiamolo alla guerra del Golfo. I cellulari moderni fanno impallidire le strumentazioni e il design della nostra nave spaziale futuribile? Ripensiamola oggi con design più fashion e touchscreen ovunque (pensate a Star Trek: The Next Generation:il touchscreen lo aveva già pensato alla fine degli anni ’80, ma ciò non è stato sufficiente per non far sentire comunque il peso dei suoi anni, a distanza di tempo).
Il bello del reboot, pensando in termini produttivi, è tentare di raddoppiare il bacino di utenza: le nuove generazioni e i nostalgici. Bisogna dire che nel mondo reale ottenere una cosa simile, e per giunta guadagnarci, è un evento piuttosto raro, ma chi siamo noi per negare a qualcuno il proprio sogno, per quanto ingenuo?
In quel caso, se il reboot si rivela un successo il gioco è fatto: posso ripartire, con tutta la mia macchina produttiva fino rilanciare nuovi sequel, dando così nuova linfa a una vena che sembrava ormai esaurita.
Pensate alle varie evoluzioni televisive e cinematografiche di Batman. O all’idea dei primi anni 2000 della Marvel Comics con la serie Ultimate Universe: rilanciare il suo intero universo come se fosse nato con il nuovo millennio, anziché negli anni ’60. In realtà non era la prima volta che Marvel faceva un simile tentativo: il precedente maggior successo del genere, Marvel 2099 non era ancora del tutto un reboot e non ottenne i favori che è stata capace di fare invece la linea Ultimate, Spiderman in primis.
Il mondo dei videogame rappresenta un caso a parte, poiché la sua evoluzione tecnologica presenta dei balzi incredibili nel giro di pochi anni: impossibile che ad ogni “salto evolutivo” alcuni dei migliori personaggi non si trovassero ad essere rilanciati in nuove vesti, per capacità grafiche e di gioco. Se fino a qualche anno fa la cosa, quasi sempre, rientrava nella categoria sequel, l’avvento delle ultimissime consolle, dalla Playstation 2, ma soprattutto dalla 3 in poi, si è spesso trasformata direttamente in reboot, come per il recentissimo Tomb Raider.
Dopo la sua origine dettata prettamente da ragioni economiche, il reboot si è ormai sdoganato completamente, così da permettere a diversi autori di proporre la reinvenzione di storie e di idee che magari hanno amato nella loro infanzia. Le serie tv reboot, ad esempio, si stanno moltiplicando a dismisura, soprattutto grazie al grande successo (e al pregevole lavoro) di una delle serie che ha fatto da apripista: Battlestar Galactica.
Un caso antelitteram e dannatamente emblematico, per quanto riguarda le serie tv, è però una serie in cui un limite tecnico è stato superato con un idea geniale che, di fatto, la rende un continuo riavvio di se stessa, mantenendo però una connessione lineare e un utilizzo narrativo del reboot stesso, molto prima che questo avesse un nome. Stiamo parlando ovviamente del Doctor Who e alle sue rigenerazioni, che gli hanno permesso di traghettare personaggio e serie per 50 anni senza preoccuparsi di un cambio dell’attore protagonista.
Il concetto di reboot si è portato con sé anche altre novità, come il newquel, varianti sul tema che però si sono create il loro spazio nel concepire nuove strade per la serialità.