Breaking Bad
In questi ultimi anni è chiaro come le serie tv abbiano assunto un ruolo cardine nel moderno enterteinment. Da questo punto di vista l’offerta si è moltiplicata e diversificata sempre di più, aprendo anche a diverse possibilità di sperimentazione difficili da immaginare fino a qualche anno fa.
È in questo scenario che una serie televisiva così dannatamente fuori dagli schemi e dai canoni a cui siamo abituati ha potuto prendere vita. Stiamo parlando, ovviamente, di Breaking Bad.
Il creatore è Vince Gilligan, sceneggiatore che prima di questa esplosione aveva partecipato a qualche film e, soprattutto, era sul carrozzone della serie che ha caratterizzato gli anni ’90 televisivi, X-Files. Quello che Gilligan ha proposto per il canale via cavo AMC (lo stesso di The Walking Dead) è una storia che, prima di tutto, trova difficile una connotazione di genere. Si insinua sicuramente nel filone drama, ma con quale orientamento? È tangenziale sicuramente al poliziesco investigativo. È, almeno in principio, una commedia nera. È un thriller psicologico.
Breaking Bad è sicuramente tante cose, soprattutto è qualcosa che non si era mai visto. Per trama, sviluppi e ritmo.
I canonici temi che riempiono e impolpano i serial americani, valori come la famiglia, l’american dream e la tenacia contro le avversità, ovvero materiale che finite per trovare tra le righe anche in un orroraccio come il già citato The Walking Dead, qui vengono completamente sovvertite, sradicate e quando possibile messe alla berlina.
Ad esempio in Breaking Bad – la cui trama di fondo vede un buon padre di famiglia superare la soglia e iniziare il suo cammino nella criminalità e l’escalation che ne consegue – ci troveremo terribilmente in bilico nell’empatia con i personaggi (soprattutto quando ci troveremo a farlo con quelli che, secondo le regole, dovremmo etichettare come “cattivi”). Soffriremo per loro. Tiferemo per loro. E scongiureremo perché la facciano franca anche a discapito altrui.
Quello messo in scena in Breaking Bad, al di là della trama, è uno scorcio di umanità. Quelli che vediamo sullo schermo sono personaggi per cui la definizione di “personaggio tridimensionale” assume connotati estremamente concreti. Non esistono personaggi brutti in Brealing Bad: i personaggi, come le persone, sono ricche di sfaccettature. Per una volta assistiamo a una messa in scena che non decide di selezionarne solo alcune. Per una volta vedremo i lati migliori, tanto quanto quelli più fastidiosi, quelli più stupidi tanto quanto quelli più profondi. Ed esattamente come i migliori diamanti, non ne esiste uno con lo stesso insieme di sfaccettature di un altro.
Anche a livello di struttura, e come dicevamo nel ritmo, Breaking Bad è in controtendenza. Siamo sempre più abituati a ritmi frenetici, ad avvenimenti che si susseguono incalzanti. Questa serie invece riesce a costruire tensione, pathos e cliffhanger d’impatto feroce, con un ritmo che scivola spesso in attese, sospesioni o persino in contemplazioni.
Merito sicuramente dell’altissimo livello qualitativo, molto vicino agli standard cinematografici (parlando di cinema di alti standard), e ad un cast, capitanato dal duo Bryan Cranston e Aaron Paul in stato di grazia, che mostrano una recitazione che vive sulle sfumature.
Prendete character come Walter White o Gustavo Fringe e avrete un parametro zero di cosa può significare cambiare la personalità con un semplice atteggiamento dell’espressione facciale. Trasformazioni emotive con la violenza e l’impatto che avrebbe esteticamente la mutazione da uomo a licantropo, tutto in una manciata di rughe.
Parlando di trasformazione ed evoluzione: l’altro nodo fondamentale della serie creata da Gilligan è proprio il percorso che compie il suo protagonista. Nell’ampio respiro della serialità abbiamo per la prima volta la possibilità di assistere a tutti gli stadi di una mutazione psicologica: attraverso le 5 stagioni assisteremo a tutti i passaggi e i cambiamenti che portano “da White ad Heisenberg”, o come ha sempre ribadito Gilligan ad ogni intervista “da Mr Chips a Scarface“, un percorso psicologico affascinante e completo. Un tipo di viaggio che spesso è stato rappresentato nel cinema e nel mondo dell’enterteinment, ma mai in maniera così completa, così credibile e così esaustiva. Assistiamo a passi avanti e passi indietro, cadute e guizzi che rendono l’umanità del personaggio interpretato da Cranston vivida e realistica: vi farà appassionare, arrabbiare, sudare e soffrire numerose volte. A livello pressoché fisico.
Per concludere, un plus che impreziosisce la serie e ne alza, se possibile, ancora il livello, sono i numerosi divertissement che caratterizzano una delle sue cifre stilistiche: finti spot pubblicitari, video musicali di mariachi e altre chicche che aprono episodi o che sono seminate all’interno, arricchendo il serial di una venatura grottesca e sottotesti ironici e caustici che approfondiscono le derive di satira sociale contenute nel programma.
C’è poco da fare, Breaking Bad è immersivo, ed è capace di catturare trasversalmente diversi generi diversi di audience, per passioni e fasce d’età.
E non delude mai, nemmeno quando deve ricorrere ad un filler: il risultato è un episodio straniante ma eccezionale, quasi hitchcockiano. Un metro di misura perfetto dei risultati di una delle migliori serie televisive mai realizzate.
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