Somnia – quando il “manga” parla italiano
Che il termine “manga“, oltre a definire la produzione fumettistica giapponese, sia diventato sinonimo di un certo tipo di “stile” è un dato di fatto. Allo stesso modo di come il manga ormai è moda trasversale.
Sicuramente il fumetto nipponico ha conosciuto negli ultimi anni una crescita e un successo esponenziale, mangiandosi grosse fette del mercato fumettistico, in Italia come nel resto dell’Europa, e spingendo numerose case editrici a fare incetta di titoli, a volte aprendo così la strada a perle che difficilmente avremmo visto pubblicate solo qualche anno fa, a volte raschiando il fondo del barile.
Non mancano poi le derive più sperimentali, come ad esempio la produzione di manga autoctoni. Non si può negare come in molti di questi casi, sia il campo di esperimento di alcune case editrici, sia in caso di autoproduzione e fanzine, si nota spesso un approccio clonativo, in cui il concetto di “manga” implica la scelta di alcune caratteristiche, in alcuni casi veri e propri cliché, prettamente grafiche, ma soprattutto prettamente mutuate da un certo tipo di manga (il più saccheggiato in questo senso è solitamente lo shojo) o addirittura il tentativo di riproduzione dello stile di un certo autore. Ma è solo così?
Ha senso parlare di manga italiano? E se si, in che termini?
Lo abbiamo chiesto a Lisa E. Anzen (ovvero Elena Zanzi) e Federica di Meo, le due autrici di Somnia, interessante ed intrigante miniserie in 4 volumi in uscita per Panini Comics, nello specifico proprio per la linea Planet Manga.
Con loro abbiamo discusso anche della gestazione, qualche dietro le quinte e le diverse sfaccettature di questo progetto nato su di una fanzine e ora diventato un vero e proprio “manga”, ma anche un prodotto multimediale con un prequel in forma di romanzo digitale.